lunedì 19 marzo 2012

LA CADUTA DEGLI DEI (1969), Luchino Visconti


Italia, Germania 1969
Regia: Luchino Visconti
Cast: Helmut Berger, Dirk Bogarde, Ingrid Thulin, Helmut Griem, Charlotte Rampling
Sceneggiatura: Nicola Badaluccio, Enrico Bedioli, Luchino Visconti


Trama (im)modesta – Quella dei Von Essenbeck è una potente casata di ricchi industriali siderurgici, arricchitisi con la Prima Guerra Mondiale che assistono alla rapida e inesorabile ascesa al potere di Hitler. Il clan Von Essenbeck è alquanto variegato: si va dall’eccentrico Martin (Beger), alla femme fatale Sophie (Thulin) e al di lei mediocre (e borghese) marito Friederich (Bogarde). Al quadretto si aggiungono Elisabeth e Herbert (Rampling e Orsini), oppositori del nazismo. Dopo il colpo di stato del nazismo e l’omicidio del patriarca della famiglia, Joachim, inizierà una spietatissima lotta per il potere all’interno del clan che si intreccerà con gli eventi più drammatici legati ai crimini più atroci perpetrati dal nazismo, nel film impersonato dall'ufficiale della Gestapo Aschenbach (il biondissimo Helmut Griem).



La mia (im)modesta opinione – Grande, lungo, epico film, quello di Visconti, forse uno dei più grandi della sua carriera assieme a Ludwig e Morte a Venezia. La storia della saga familiare è sviluppata come una epopea epico-borghese che vede il personaggio di Helmut Berger come mattatore assoluto, vero antieroe che domina con la forza della sua follia il complicatissimo quadro di vicende che si intrecciano per tutta la lunghezza del film.
Il nazismo è parte integrante della storia ma è, in qualche modo, reso marginale, come uno sfondo lontano, invisibile compagno di efferatezze di tutti i membri della stirpe Essenbeck. La discesa all’inferno di un solo, satanico, personaggio che porterà al disgregamento e alla distruzione di un’intera comunità umana. Una discesa guidata non tanto dalla sete di potere personale (Martin non cerca di dominare e, quando finalmente ottiene il potere assoluto, lo cede alla potenza nazista) ma come da un desiderio forte di distruggere legami personali, civili e affettivi.


 È dunque Martin von Essenbeck il perno attorno a cui si muove tutta la sontuosa messinscena del film che, a differenza di molti film storici, evita una visione moralizzante o nozionistica e predilige di vedere l’intera vicenda del clan dei Von Essenbeck da un’angolatura estetizzante e filosofica. La Storia può essere strumentalizzata per assoggettare e manipolare. Gli eventi della storia umana non solo sono lo sfondo delle azioni dei protagonisti ma ne diventano quasi i punti di svolta.
Come dimenticare la lunghissima, orgiastica e, in qualche misura, onirica sequenza della Notte dei Lunghi Coltelli che vide i reparti delle SA, oppositori del regime nazista, brutalmente sterminati dopo un selvaggio festino a base di alcool e sesso da parte dei fedelissimi di Hitler.


Un film che,  come già detto, non vede la Storia  come fatto da ricostruire ma come strumento di manipolazione e violenza nelle mani dei potenti membri dell'influente clan Von Essenbeck.
Capiamo questo anche dalla direzione artistica del film che sceglie una fotografia attentamente lumeggiata, attraversata da sprazzi di colore innaturali, un make-up spesso grottesco e costumi stravaganti, specie per il feroce personaggio di Helmut Berger che ci viene presentato mentre canta vestito da ballerina una canzone del repertorio della Dietrich e ci lascia con indosso l’uniforme nera delle SS.
E oltre agli altri personaggi che, si capisce presto, sono di mero contorno che sono affascinanti sì (la coppia fatale Sophie e Friederich con le loro trame e i loro complotti, la bellezza mozzafiato di Elisabeth) ma non dominano la scena come il Martin von Essenbeck di Helmut Berger che ci regala una delle sue interpretazioni più incredibili: da mellifluo damerino molto reminescente dei personaggi di Proust a stupratore feroce, da amante disperato a pedofilo e incestuoso senza rimpianti. 


E se all’inizio del film Martin prende questo suo desiderio di corrosione di legami e convenzioni come un divertente passatempo, in seguito raffina la sua arte, sprofonda nella follia. È pedofilo (ma questo si capisce già dall’inizio) e spinge al suicidio una bambina che ha violentato, è incestuoso (si unisce alla sua stessa madre in una scena superba per onirismo e scavo psicologico in cui Sophie von Essenbeck è violentata ma non oppone una vera resistenza) e, in generale, usa l’amore e la sessualità per sottomettere, umiliare e pure uccidere. Anche il matrimonio finale, tanto agognato da Sophie e Friederich, rappresenterà il grottesco e pauroso culmine della vittoria di Martin su tutta la famiglia.
L’epitome di un male profondo (Martin è una sorta di simbolo di una gioventù che prova disgusto per la morale antica e i suoi alleati sono un suo coetaneo generale delle SS e il giovane Gunther Von Essenbeck, che è spinto dall'odio verso il padre, una sorta di trinità diabolica) che corona un’autentica architettura di male e dolore morale ed esistenziale. Una macchina che distrugge e degrada e non prova pietà né rimorsi.
Ma tutto ciò è molto più semplice di quanto appaia: è Martin/Satana che incorona se stesso.


Se ti è piaciuto guarda anche… - Ludwig (1973) e Morte a Venezia (1971) di Luchino Visconti, perché sono capolavori assoluti, must autentici per ogni cinefilo, perché rappresentano il culmine stilistico della carriera del regista. Bastardi senza gloria (2009) di Quentin Tarantino, perché è un’altra esplorazione del nazismo come Male in tutte le sue pieghe e perché, anche se è il Tarantino che mi è piaciuto di meno, ogni Tarantino va visto religiosamente. Salon Kitty (1976) di Tinto Brass, perché è un capolavoro di nazismo/erotismo e perché la deformazione in senso boccaccesco della simbologia nazista mi è sempre piaciuta nel suo essere grottesca. Riccardo III (1995) di Richard Loncraine, perché Ian McKellen è un grandissimo attore, perché portare Shakespeare ai tempi di uno pseudo-fascismo anni ’20 è una genialata assurda.


Scena cult – L’allucinata, estenuante, passionale Notte dei Lunghi Coltelli. Autentico baccanale moderno, con tutta la precisione del documentario e tutta la potenza estetica dell’opera d’arte.

Canzone cult – La canzone/parodia con cui un Helmut Berger en travesti omaggia la grandissima Marlene Dietrich de L’angelo azzurro.

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