Olanda, 2006
Regia: Paul Verhoeven
Cast: Carice Van Houten, Sebastian Koch, Thom Hoffman,
Halina Reijn
Sceneggiatura: Paul Verhoeven, Gerard Soeteman
Trama (im)modesta – Rachel (la divina Van Houten) è una
cantante ebrea fuggita da Berlino e rifugiatasi in Olanda. Inseguita dai
nazisti, Rachel si rifugia a L’Aia dove unisce le sue forze a un gruppo di
partigiani che lottano per cacciare i nazisti fuori dall’Olanda. A questo
punto, Rachel assume il nome di Ellis de Vries, si tinge i capelli di un bel
biondo ariano ed entra nelle grazie di un militare delle SS tedesco. A questo
punto Rachel/Ellis si barcamena fra doppie identità, doppi giochi e tradimenti,
si innamora del colonnello nazista e, alla liberazione, viene imprigionata come
collaborazionista. Uscita di prigione va alla caccia dei traditori e, scagionatasi
del tutto, ricomincia una nuova vita in Israele. Ma la guerra la seguirà anche
lì.
La mia (im)modesta opinione – Per definizione, il genere
cinematografico del melò è quel genere caratterizzato da tinte forti, una trama
romanzesca con colpi di scena, esasperazioni sentimentali, rivelazioni
sensazionali tutte atte a commuovere ed emozionare lo spettatore. Questo è il
genere in cui rientra alla perfezione questo drammone storico che è Black Book
ma, mentre di solito questo genere di film è odioso per gli escamotages
scadenti della trama e la valanga di stereotipi che li ricopre, la pellicola di
Verhoeven risulta elegante, sontuosa (è il film olandese più costoso di sempre),
ben scritta e ben recitata.
Le trovate sono quelle del feuilleton classico: “la lotta
per il potere, le sfrenate passioni, gli intrighi, i tradimenti” (sì, sto
citando la sigla di Xena che è, in questo caso, singolarmente calzante) con al
centro un’eroina indomita e coraggiosa che ha il volto (bello) e il corpo
(bellissimo) di Carice Van Houten, il cui ruolo è una specie di incrocio fra la
Marlene Dietrich de L’angelo azzurro e Mata Hari, che ci regala una performance
coi fiocchi. Inutile dirlo, la Houten è già in lista d’attesa per entrare nel
gotha delle mie attrici preferite anche in virtù della sua partecipazione nella
seconda meravigliosa stagione dello stupendo Game of Thrones nei (pochi) panni
della enigmatica (e promiscua) sacerdotessa Melisandre di Assahi.
Altro punto forte del film è il gioco sull’ambiguità dei
ruoli e dei personaggi. La divisione fra “buoni” e “cattivi” è quanto di più
esile e sottile ci possa essere: i partigiani olandesi sono antisemiti al pari
dei nazisti, i nazisti appaiono persone ligie alle regole e dotati di una certa
umanità (finalmente! Lo stereotipo del nazista sadico e spietato mi stava per dare
il voltastomaco) e per tutta la durata del film il ruolo di “buono” e di
“cattivo” passerà di mano in mano. Non che il regista non ne sia consapevole:
un generale canadese accusa gli olandesi di non essere diversi dai nazisti
nelle torture sui prigionieri collaborazionisti.
Questa ambiguità si esplica anche nel sincretismo di generi
che vive la pellicola. Si inizia come dramma bellico, poi si profila la love
story, in seguito sembra di vedere un film di avventura, infine tutto si chiude
sulle note del thriller storico e il finale assume le sfumature amare del film
di guerra moderno, quando attesta con sconsolata malinconia che dalla guerra
non si può scappare e nemmeno dal proprio destino. Ricordo a questo punto un
proverbio yiddish che recita: «Se il destino di un uomo è affogare, lo farà
anche in un bicchier d’acqua.» Stesso destino tocca a Rachel che, anche lontana
mille miglia dall’Olanda, teatro delle sue sventure, rivive costantemente il
dramma dei conflitti armati e delle violenze.
Questo film non ha una morale. Spendo solo due parole per
parlare della figura di Ronnie. Quello di Ronnie è un personaggio di contorno
che fa profondamente riflettere: donna non bella ma certo furba, cagna per
tutti i postriboli, sostenitrice di tutte le bandiere. La vediamo prima come
segretaria dei nazisti che si concede ai suoi superiori, si fa palpare e
spogliare, il giorno stesso della liberazione è al fianco di un prestante soldato canadese che in seguito sposerà. Insomma, Ronnie è l’esempio di tutti quei
personaggi nella storia che sono sempre riusciti a cavalcare la cresta
dell’onda semplicemente stando attenti a dove tirava il vento. Ho apprezzato
che Verhoeven abbia inserito un personaggio del genere come per ricordarci che, dopo
tutto, la Fortuna la si guadagna a prezzo di cinismo.
Se ti è piaciuto guarda anche... – Espiazione (2007) di Joe
Wright, film più originale che coinvolgente che ha il merito di averci fatto
scoprire la prodigiosa Saoirse Ronan. Il da me già recensito La caduta degli dei (1969) di Luchino Visconti, titanico affresco storico e familiare
sull’ascesa del nazismo, con reminiscenze di Mann e Wagner. Lussuria (2007) di
Ang Lee, altra storia di sesso e guerra, resistenza e innamoramento, diretta
dalla mano esperta e sapiente di Ang Lee. Gioco di donna (2004) di John Duigan,
altro melò storico su un curioso ménage à trois di cui fa parte la sempre
stupenda Charlize Theron che preme così tanto sul tasto del sentimentalismo da
meritare almeno un paio di estasiate visioni.
Scena cult – Il termine della vicenda di Rachel, prima
dell’amaro finale, che si chiede in riva ad un lago cosa fare con il tesoro che
si è ritrovata per le mani alla fine della guerra.
Canzone cult – Due canzoni cult, entrambe cantate dall’ugola
d’oro della divina Van Houten: la canzonetta dal sapore retrò Die Fesche Lola e
la speranzosa e un po’ commossa Ja, Das Ist Meine.
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