sabato 14 aprile 2012

THE SUNSET LIMITED (2011), Tommy Lee Jones


USA, 2011
Regia: Tommy Lee Jones
Cast: Tommy Lee Jones, Samuel L. Jackson
Sceneggiatura: Cormac McCharty


Trama (im)modesta – Due personaggi senza nome, distinti solo dal colore della pelle e dell'ideologia, un professore bianco (Jones) e un uomo di colore (Jackson) sono in un appartamento del Bronx. Il nero ha salvato la vita al bianco, che voleva buttarsi sotto un treno, il Sunset Limited, appunto. L’uomo di colore è un galeotto animato da una fede profonda, fervente e sincera, il professore bianco è un ateo cinico e disilluso, esacerbato da un mondo troppo feroce per lui. I due si scontreranno a colpi di ideologia fino a che non ne rimarrà nessuno.


La mia (im)modesta opinione – Inizio con una nota di costume: questo film, diretto da Tommy Lee Jones (cioè la versione competente e seria di Clint Eastwood) su una piéce teatrale di Cormac McCharty (ovvero uno degli autori più geniali dell’età contemporanea) era in origine un film per televisione. The Sunset Limited non è mai stato proiettato sul grande schermo. Perché tutto ciò mi demoralizza? Perché mentre in America ci sono network come la HBO che danno vita a film grandiosi come questo che non hanno nulla da invidiare ad altre produzioni certamente più sciatte e pretenziose ma che riscuotono più successo, in Italia dobbiamo ingollare litri e litri di banalità su banalità scritte senza arte né intelletto. Forse ce lo meritiamo.
Detto questo, passiamo al film vero e proprio.


Lo diciamo subito, chiaro e tondo, The Sunset Limited non è un film facile, non è un film scorrevole, non è un film divertente. È un dialogo serratissimo e profondissimo, impegnativo e stancante. Pura filosofia morale. Le due fazioni che si scontrano sono l’ottimismo spiritualista (cattolico, a suo modo stoico) e il pessimismo materialista (ateo, pascaliano per non dire leopardiano). Insomma posizioni che, storicamente, sono di per sé dei clichés. Il lavoro di McCharty però non esplora solo il cliché, lo scava, lo fruga in ogni sua parte, lo analizza in ogni ramificazione e capillare fino alle sue conseguenze più estreme ed amare. Perché The Sunset Limited è un film amaro, amarissimo che non lascia via di scampo tranne per qualche bagliore lontano, nel suo finale, come già succedeva negli altri lavori di McCharty come, ad esempio, La strada.



Le parti sono affidate a due attori dei più talentuosi di Hollywood: Samuel L. Jackson (il suo personaggio sembra tanto “Jules Winnifield vent’anni dopo”) e Tommy Lee Jones (un moderno Leopardi, ma più arrabbiato e disperato). Tutti e due gli attori sono strabilianti e forniscono le interpretazioni forse più vere e umane della loro intera carriera. Non solo, infatti, entrano perfettamente nel personaggio e nel carattere ma variano restando comunque fedeli a se stessi. Dubitano, si disperano, pensano. I temi trattati, come già detto, sono fra i più problematici della storia del pensiero umano: la religione, il perché della sofferenza umana, il senso del mondo e dell’esistenza, il dolore, la morte. The Sunset Limited non è un film deprimente, è un film coraggioso nel suo dolente alzarsi e guardare in faccia una realtà che è un problema che non può risolversi o essere risolto perché se si crede in Dio, Dio tace, se non si crede in Dio, il vuoto regna. E in ogni caso il silenzio è una tortura.


Tommy Lee Jones si fa anche regista della pellicola e la conduce bene, crudamente, con virile e burbera eleganza. Un’eleganza che però non è il manierismo svolazzante di un Eastwood (e chi l’ha mai sopportato? Il suo stile manca di imperfezione) ma qualcosa di più viscerale e profondo, una malinconia che prima di essere vano sollazzo filosofico è una pura forza sanguigna, debilitante che colpisce basso, che dà il voltastomaco. Tommy Lee Jones è un bravo regista, solido, virile, asciutto. Un uomo il cui cuore mi ricorda il legno seccato e indurito dal mare, duro come acciaio, levigato dalle onde e dalla sabbia fino a sembrare seta al tatto. Jones non si preoccupa di essere grazioso, non si perde in effeminatezze estetiche ma piuttosto crea una sua estetica che è spiccia, è dura, è volitiva ma non scade mai nel banale, nel volgare e nel pretestuoso ma quasi commuove con la sua compostezza salda e dolorosa.


Riferire il contenuto del film è impossibile: bisogna guardarlo. Uno di quei film da guardare più di una volta, uno di quei film che dovrebbero essere letti e non guardati e basta. È cosa difficile fare di un film senza trama, senza azione e dinamismo ma con dentro solo spigoloso e freddo concetto un buon film. Tommy Lee Jones ci riesce: ci riesce grazie al testo su cui si basa (che è un capolavoro teatrale), ci riesce grazie alla sua sopradetta e clamorosa bravura nel dirigere film, ci riesce grazie a Samuel L. Jackson con il suo accento della Louisiana e la sua filosofia che si è fatta le ossa tra strade e prigioni e grazie al suo stesso sguardo triste e al suo pessimismo esacerbato e rasposo. Da restare a bocca aperta.


 Se ti è piaciuto guarda anche... – Per gustare dell’altra cupezza esistenziale in stile McCharty il solo film da guardare è ovviamente The Road (2009) di John Hillcoat, perché è una riflessione dolorosissima e desolante sulla condizione umana, recitata, diretta e fotografata magistralmente. Se vi piacciono invece le situazioni “a camera chiusa” (e a me piacciono da impazzire) non ci sono altre pellicole che il sulfureo Sleuth (2007) di Kenneth Branagh, che vanta una sceneggiatura adattata per l’occasione dal premio Nobel Harold Pinter; 8 Donne e un Mistero (2002) di François Ozon, che è un mirabile e teatralissimo giallo da camera zeppo di languide canzoni francesi, battutine acide e attrici di culto personali (e parlo solo la triade Deneuve, Béart, Sagnier, senza considerare le altre Dive)  e, per concludere, il bellissimo Interview (2007) diretto dal grandissimo Steve Buscemi con una Sienna Miller che (alleluia!) recita con il cuore.


Scena cult – I due monologhi finali, prima quello luciferino, furioso e tagliente di Tommy Lee Jones, poi la preghiera disperata e addolorata di Samuel L. Jackson. Due pezzi di bravura da mozzare il fiato.

Canzone cult – Non pervenuta. Le musiche di Beltrami (lo stesso di The Hurt Locker) sono appena due pezzi. Pochi, ma di una forza sorprendente.

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...