venerdì 29 giugno 2012

EXIT HUMANITY (2011), John Geddes


Canada, 2011
Regia: John Geddes
Cast: Mark Gibson, Jordan Hayes, Adam Seybold, Dee Wallace, Bill Moseley
Sceneggiatura: John Geddes


Trama (im)modesta – 1871. Edward Young è un veterano della Guerra Civile Americana che assiste impotente alla morte della sua famiglia e del mondo a opera di un’invasione di morti viventi. Devastato dal lutto, Edward intraprende un viaggio per spargere le ceneri del figlio alle cascate di Ellis. Durante questo viaggio, uccide molti dei morti viventi, e incontra perfino dei superstiti: il guerriero Isaac, la strega/guaritrice Eve ed Emma, la sorella di Isaac, che è immune al morso dei morti viventi. Proprio per questa sua immunità Emma è oggetto della cupidigia di una banda di banditi che cercano disperatamente una cura per salvarsi dall’invasione dei morti sulla terra.


La mia (im)modesta opinione – Miracoli dell’arte e della tecnica. Dopo Exit Humanity sono disposto a credere che con le giuste locations, budget ridotto, un pugno di attori e telecamere ad alta definizione si può fare veramente di tutto. Certo la trama del film è un po' esile, certo alcune uscite della sceneggiatura e della regia sono alquanto opinabili ma a guardare certe inquadrature eleganti e preziose sembrerebbe di avere davanti uno di quei filmoni veristi però condito da un continuo desiderio di ascensione, da un fascino per le fredde foreste del Nord America e per il pulsare sanguigno di certe luci. Exit Humanity è un film essenzialmente semplice e visibilmente artigianale (anche se si è potuto permettere il vocione profondo di Brian Cox per fare da narratore) che riesce a simulare la grandezza espressionista di certi film di budget certamente più alto non senza incepparsi di tanto in tanto.


Basta far prendere alla telecamera la giusta inclinazione e si immaginano pianure sconfinate, boschi selvaggi e l’America del West in tutto il suo trionfante e nostalgico splendore. La regia elegantissima di Geddes fa miracoli: del resto un bravo autore non ha bisogno di tanti mezzi ma solo di quelli che ha a disposizione. Basta una fotografia lucente ora e ora livida e una telecamera straordinariamente nitida guidata da una mano esperta nei giochi di luce e visione e un filmetto dai mezzi esigui può diventare una perla luminosa nascosta nelle infinite pieghe del genere. A questo aiuta anche la sceneggiatura: non esente da un certo compiacimento del cliché (ci piace credere che la presenza dei cliché si giustifichi con compiacimento autoriale piuttosto che con aridità inventiva) ma profondamente originale e capace di orchestrare gran bei momenti, di certo non troppo profonda o filosofica ma aiutata da una colonna sonora tradizionale ma non stereotipata e fortemente incalzante.


Certo Exit Humanity non è un film perfetto. Si avverte dovunque nella pellicola (dalla tragica mancanza di comparse a quella dei set essenziali) il pericoloso ottundimento causato dallo sbattere della testa degli autori contro il tetto del budget, un tetto che sarebbe stato opportuno costruire più alto dato che le teste degli autori si meritavano uno spazio assai maggiore (certe scene sintetizzate in sequenze animate all’inizio avevano molto l’aria di una citazione a Kill Bill, poi si intende che erano le trovate più economiche che erano riusciti a ingegnarsi di trovare). Ma va anche detto che la nonchalance con cui la regia glissa sui problemi di risorse monetarie fa soltanto onore a questo piccolo film di genere. Anche la sceneggiatura pecca di non indifferenti intoppi e di una generalizzata esiguità strutturale ma, nel complesso, riesce a mandare avanti il film senza suscitare eccessive perplessità nello spettatore che sarà certo più intrigato dall’aspetto migliore di questo film: i morti viventi.


Ho adorato gli zombie di questo film. Creature carnivore ma lente e stupide come pecore che non costituiscono quasi nessun pericolo se sono da sole e che arrancano lente e molli, come i veri zombie Basta ansie claustrofobiche, basta orde di immortali sbavanti, questi sono i veri morti viventi. Ma se parlo di veri zombie è perché, come tutti avranno notato, da 28 Giorni Dopo in poi (in realtà dal film horror Incubo sulla città contaminata di Umberto Lenzi, in cui gli zombie corrono per la prima volta) gli zombie hanno preso il gusto di correre come centrocampisti e si sono dotati di una forza erculea certo poco adatta a carni sconciate dai vermi e a muscoli in avanzato stato di putrefazione. No, gli zombie di Exit Humanity sono creature deboli, larve grasse e mollicce, lente e sciocche (ma non per questo meno letali).


Ma perché se gli zombie sono i cattivi proprio gli zombie sono così inutili e deboli? Perché gli zombie di questo film sono solo un espediente, un fulcro attorno alla quale la vicenda dei protagonisti doveva ruotare. Trasformati i morti viventi in stolidi spaventapasseri animati, l’azione del film si può concentrare di più sui protagonisti e sulle loro vicende umane. Vicende alquanto esigue ma che alla fine riescono a far reggere dignitosamente il film. Altro discorso va fatto per gli attori: capaci tutti ma tutti quanti (specialmente il protagonista Mark Gibson) tendenti a calcare un po’ troppo i toni fino a fare sembrare i loro gesti un po’ manierati e vacui, ma questo è un problema trascurabile, in fin dei conti. L’originalità del film che sa mescolare Sergio Leone a George Romero (non sto pasticciando, parlo sul serio) con inaudita bravura fa perdonare tutti i possibili difetti.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Se vi è piaciuto Exit Humanity (e per un verso o per un altro vi piacerà) bisogna per forza aver conosciuto i suoi fratelli maggiori: Planet Terror (2007) di Robert Rodriguez, Resident Evil (2002) di Paul W.S. Anderson, La Horde (2009) di Yannick Dahan, Benjamin Rocher e L’alba dei morti viventi (2004) di Zack Snyder. Autorevoli antenati sono il grandissimo Zombi (1978) di George Romero e La Notte dei Morti Viventi (1968) dello stesso autore ma, per ricordare le ascendenze western, citiamo un paio di spaghetti western che contaminano la tematica zombie, ovvero C’era una volta il West (1968) di Sergio Leone e la perla barocca del genere Matalo! (1970) di Cesare Canevari.


Scena cult – La struggente scena in cui Edward Young uccide il proprio figlio, dato per disperso e tornato a casa come zombie. Tremenda e terribile.

Canzone cult – Non pervenuta.

2 commenti:

  1. non mi ispirava per nulla, però visto che sembra meritare potrei fare un tentativo...

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    1. Prima di guardarlo assicurati che sia una visione disimpegnata. E' un film godibile, atipico ma nè brillante nè genialoide. Insomma, guardalo a scazzo! :D

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