venerdì 22 giugno 2012

WRISTCUTTERS – A LOVE STORY (2006), Goran Dukić


USA, Regno Unito, 2006
Regia: Goran Dukić
Cast: Patrick Fugit, Shannyn Sossamon, Shea Whigham, Tom Waits
Sceneggiatura: Goran Dukić


Trama (im)modesta – Zia è un ragazzo che, abbandonato dall’amore della sua vita, decide di togliersi la vita. Dopo il suicidio, però, si ritrova catapultato in un mondo grigio e scabro, una sorta di sezione dell’aldilà riservata ai suicidi popolata da moltissime anime che vivono una vita parallela sperimentando ogni giorno piccoli miracoli come il cambiamento dei colori di un certo oggetto o la levitazione di questa o quella persona. Scoperto che la sua fidanzata Desiree è morta suicida e si trova nel suo stesso mondo e lo sta cercando, Zia si mette in viaggio per andarla a trovare con al seguito Eugene, un chitarrista russo che porta un buco nero sotto il sedile dell’auto, e Mikal, una ragazza morta suicida “per errore” (è morta di overdose iniettandosi dell’eroina) che cerca i proprietari di quel mondo per poter chiarire l’equivoco e tornare a casa. Durante il viaggio si imbatteranno in Kneller, ambiguo capo di una congregazione di anime suicide che va alla ricerca del proprio cane perduto…


La mia (im)modesta opinione – La trama di Wristcutters ha dell’assurdo eppure, come si suol dire, riesce a far quadrare il cerchio. Indubbiamente originale è un road movie ambientato nell’oltretomba e, per di più, un particolare tipo di oltretomba dedicato ai suicidi dove tutti quanti vivono tranquillamente conversando  distrattamente della loro morte e di altre simili amenità. Geniale è anche il dipinto di questo bislacco aldilà tutto desertico e stopposo, pieno di città grigie di cemento grezzo e strade sporche, popolate da affogati, impiccati, soldati che si sono sparati in testa nessuno dei quali riesce più a sorridere (perché nel paese dei suicidi è bandita l'allegria). Un luogo surreale e malinconico eppure stranamente vitale dove il miracolo e l’incredibile convivono anonimamente con le sciocchezze più infime della vita quotidiana, miracoli bizzarri che accadono solo quando non sono attesi.


Quello che più colpisce del film è la persistenza della voglia di vivere che hanno tutti i protagonisti, l’insistere nel ritornare ai vecchi schemi sfidando anche la morte. È un esempio la famiglia del burbero chitarrista Eugene che, suicidatasi al gran completo, ha ripreso il tranquillo ménage di ogni giorno anche dopo la morte. E poi ci sono mille e mille storie sintetizzate con grazia e mestizia da Dukić che raccontano di questo o quel suicidio rinchiudendo in poche inquadrature vicende di abbandono e perdizione che lasciano ogni cosa alla nostra immaginazione. C’è una ragazza che ha infilato la testa nel forno, c’è la giovane Nanuk (e la sua è una delle morti più tremende) assiderata dopo essere svenuta sotto la neve per colpa dell’alcool, c’è Kostya, fratello di Eugene, fanatico del suicidio, sempre in attesa di una buona scusa per farla finita. Insomma una divertente e malinconica marmaglia di esseri umani nevrotici e insicuri che sembrano uscite dalle scenette di ordinaria follia di cui siamo protagonisti involontari ogni giorno.


Passiamo al personaggio più misterioso di tutti: l’ambiguo Kneller. Con addosso il volto legnoso e la voce ruvida del mitico Tom Waits, Kneller dirige una sorta di campeggio per suicidi dove tutti vivono se non in allegria (l'allegria è impossibile come è impossibile sorridere) almeno in perfetta armonia e lo stesso Kneller insegna a «crescere forti e crescere strani» raccontando strane favole morali e proiettando diapositive. Devo dire che, alla fine del film, non si è sicuri dell’identità di questo Kneller, è uno delle people in charge dell’oltretomba ma lavora illegalmente, corre fra un mondo e l’altro e modifica eventi portando avanti e indietro il tempo. Un angelo? Un diavolo? Non si sa, fatto sta che Tom Waits è, come sempre, meraviglioso con il suo umorismo sardonico e i suoi apologhi misteriosi sui miracoli che «accadono quando non te ne accorgi».


Con i suoi abitanti stramboidi, il suo terreno riarso e sabbioso e i suoi bislacchi miracoli, l’aldilà di Wristcutters diventa, da trionfo della morte, una forte e insolito inno alla vita, una vita che non è mai troppo tardi per cambiare, anche dopo il passo fatale perché è sempre possibile trovare scappatoie, soluzioni, scorciatoie. La regia di Dukić è assai buona ma la vera forza del film sta nella scoppiettante sceneggiatura e nello stupendo cast che va da Patrick Fugit (ovvero il William Miller di Quasi Famosi), la radiosa semisconosciuta Shannyn Sossamon e il vulcanico Shea Whigham (che ricorderete per il suo ruolo di Eli Thompson in Boardwalk Empire) che interpreta l’indimenticabile e baffuto chitarrista Eugene. Non un film fondamentale, questo Wristcutters, ma di sicuro uno di quelli che non vorreste perdere.


Se ti è piaciuto guarda anche… - Malinconia infinita, gusto dell’assurdo, iperboli kitsch, bizzarri onirismi. Il cinema abbonda di film così. Abbiamo il capostipite ovvero l’infinito The Rocky Horror Picture Show (1975) di Jim Sharman, il classico moderno Donnie Darko (2001) di Richard Kelly, poi c’è il figlio di un dio minore, ovvero il capolavorone visionario The Cell (2000) di Tarsem Singh. Non dimentichiamo il valido Amabili Resti (2009) di Peter Jackson e il sempre ipnotico Dead Man (1995) di Jim Jarmusch.


Scena cult – L’addio di Nanuk, per cui è stato decretato il ritorno a casa, stranamente commovente e triste. A quanto pare a commuovere non è solo il dipartirsi dalla vita ma anche il ritornarci.

Canzone cult – La colonna sonora del film è assai ricca, ma l’unico pezzo che mi ha conquistato è la Dead and Lovely del grandissimo Tom Waits.

1 commento:

  1. questo film aveva tutte le carte in regola per diventare un mio cult personale, dalla storia agli attori, e invece non mi ha convinto del tutto.
    carino, però poteva essere molto meglio...

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