domenica 22 luglio 2012

THE KING IS ALIVE (2000), Kristian Levring


Danimarca, 2000
Regia: Kristian Levring
Cast: Miles Anderson, Romane Bohringer, David Bradley, David Calder, Bruce Davison, Brion James, Peter Khubeke, Vusi Kunene, Jennifer Jason Leigh, Janet McTeer, Chris Walker, Lia Williams
Sceneggiatura: Kristian Levring, Anders Thomas Jensen


Trama (im)modesta – Per un guasto alla bussola, un autobus di turisti si perde nel deserto della Namibia e finisce in un villaggio fantasma abitato da un solo uomo, Kanana. Mentre uno dei passeggeri va a cercare aiuti in un villaggio vicino, tutti gli altri lo aspettano. Per tenere il morale alto, Henry, l’intellettuale del gruppo, propone di mettere in scena il Re Lear di Shakespeare. Dopo che il progetto ha preso piede, il teatro si confonderà con la vita e le suggestioni della poesia del Bardo si mescoleranno alla paura e alla morte che i dispersi affrontano nel deserto.
  

La mia (im)modesta opinioneThe King is Alive è un film volutamente difficile, scabro, involuto. Adattandosi pressoché pedissequamente ai dettami del Dogma 95 (il movimento cinematografico d’avant-garde che si propone di “purificare” il cinema dall’intrusione degli interessi economici e degli effetti speciali rinunciando a fotografia, scenografia e di ogni altro espediente scenico, eccettuato quello della camera a mano), la pellicola di Levring risulta incisiva ma rude, quasi di foggia barbarica nel suo incedere severo e spigoloso e nel suo evitare ogni carezzevolezza, ogni tipo di amabilità. La storia è sicuramente fuori dall’ordinario ma la mancanza di maniera è assoluta e trascende la stessa nozione di sobrietà nel suo spogliarsi di colonne sonore, di dialoghi che non siano strettamente necessari, persino di ragionamenti ché i moventi di moltissime azioni del protagonisti sono solo intuibili, forse deducibili ma mai chiarificati e resi manifesti.


Come spesso succede, però, più a fondo ci si inoltra nel terreno del realistico più è facile sbucare nelle regioni dell’onirico, ed ecco allora il villaggio fantasma farsi proscenio del dramma, il deserto estendersi sconfinato come in una favola con le sue sabbie abbrustolite dal sole e il suo firmamento torrido e la sua polvere odiosa che dovunque si infiltra. In fondo il realismo è la più cruda forma di escapismo. Il film è, per sua stessa struttura, denso di mille e mille sottigliezze celate sotto l’apparente crudezza di una messinscena estremamente povera. Il risultato è la percezione degli elementi della storia come allegorie. Il deserto diventa una condizione umana, il Re Lear di Shakespeare, pronunciato prima senza convinzione e poi con lapidaria solennità, è la fragilità dell’uomo che si affanna inutilmente nel deserto della vita mentre aspetta che qualcuno lo aiuti e la cui attesa coincide con la vita stessa.


The King is Alive è un film crudele, impietoso, un film che è anche oscuro ed ermetico tanto che si attirato addosso la critica di essere «weird for the sake of weird», troppo cervellotico e forse anche un po’ radical-chic ma tutto ciò è errato dato che nessuno, all’interno della storia, elucubra e ogni elemento legato alla razionalità del reale è un solo, piccolo elemento che si carica di altri significati, significati puramente intelligibili ma mai presenti. Come può un film senza concetto risultare concettoso? Lo dice anche l’intellettuale Henry mentre spiega come recitare la tragedia del Bardo, bisogna leggere le parole e trovare in esse il proprio significato. Ed è per questo che il gruppo di superstiti al deserto, nell’ipnotica scena finale, cita questi o quei versi della tragedia che commentano stati d’animo e situazioni umane. Questo, dunque, è il cinema veramente colto che da spunti brillanti trae conclusioni forse insufficienti ma di sicuro originali e inaspettate.


È vero anche che un film come questo è abbastanza difficile da digerire: i tempi morti abbondano, così come i silenzi enigmatici e alcuni (non troppo necessari) nessi narrativi. Per contro il film annovera certi grandi personaggi come l’intellettuale-artista Henry (un personaggio molto eastwoodiano, virilmente silenzioso e volitivo, eppure profondamente commosso dalla bellezza del mondo) e la complicata francese Catherine, interpretata da una grandissima e fascinosa Romane Bohringer aggressiva e virginale insieme, troppo timida per recitare ma intimamente desiderosa di interpretare un ruolo, quello di Cordelia, che pare scritto proprio per lei. In definitiva The King is Alive è un film che va visto “per forza”, se non per i suoi meriti artistici, almeno come erudita esplorazione di un movimento d’avant-garde che ha avuto tanto peso nell’evoluzione del cinema nordico moderno (il fondatore del Dogma 95 fu infatti il mitico Lars von Trier che, in effetti, non perse molto tempo a lasciar perdere le regole che prima aveva accolto).


Se ti è piaciuto guarda anche – Per esplorare i film del Dogma 95 vi consiglio il precursore Festen (1998) di  Thomas Vinterberg, Italiano per Principianti (2000) di Lone Scherfig e l’italiano Così x Caso (2004) di Cristiano Ceriello. Per qualche versione alternativa delle opere di Shakespeare, abbiamo L’ultima tempesta (1991) di Peter Greenaway, Scotland, Pa. (2001) di  Billy Morrissette, Looking for Richard (1996) di Al Pacino, Cesare deve morire (2012) di Paolo e Vittorio Taviani e Rosencrantz e Guilderstern sono morti (1990) di Tom Stoppard.


Scena cult – Il mesto notturno finale, davanti al fuoco, dove i versi del Bardo sono pronunciati con amarissima consapevolezza e profondo dolore.

Canzone cult – Tre solo le canzoni che figurano nella soundtrack del film. La mia favorita in assoluta però è il vintage Every 1’s aWinner degli Hot Chocolate.

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...