domenica 12 agosto 2012

LADY VENDETTA (2005), Park Chan-wook


Corea del Sud, 2005
Regia: Park Chan-wook
Cast: Lee Yeong-ae, Choi Min-sik, Lee Seung-Shin, Nam Il-wu, Kim Shi-hoo
Sceneggiatura: Park Chan-wook, Jeong Seo-kyeong


Trama (im)modesta – Dopo 13 anni e mezzo di prigione per l’omicidio di un bambino di sei anni, la rea confessa Geum-ja esce dal carcere. Suo unico desiderio: vendicarsi con il vero autore del crimine per cui lei ha confessato ma che non ha mai commesso. Appena uscita dal carcere, cambia aspetto e personalità: da religiosa e soave penitente a diabolica inquisitrice. Le alleanze strette durante gli anni di prigionia le permettono non solo di rintracciare sua figlia e l’uomo che l’aveva incastrata ma anche di imbastire alla perfezione la sua vendetta contro quest’ultimo.


La mia (im)modesta opinione – Cosa è la vendetta? Film di mezzo mondo hanno provato a informarcene descrivendo machiavelliche e contorte rivalse, ora crudeli ora brutali ora sottili e taglienti. Ma quello che gli altri film fanno è apparecchiare una complicata partita a scacchi dove l’ancestrale fantasma della babilonica legge del taglione riprende vita appagando la segreta e tacita sete di sangue che riarde le fauci della nostra mente. Si sa, passano secoli e millenni ma gli esseri umani sono sempre uguali a se stessi. Ma se molte, moltissime altre opere (e queste sono solo le migliori) erigono architetture cerebrali e arabescate, nessuna di queste riesce a scandagliare l’essenza della vendetta, la sua natura più intima – una natura indissolubilmente legata alla natura dello stesso essere umano e che con quest’ultima si trova spesso in conflitto: c’è insomma un desiderio sanguinario primigenio e ferale che si sposa e fa a botte con un altro senso, quello civico, dell’uomo-animale sociale ma anche uomo-animale religioso che rende quello della vendetta un tema incredibilmente complesso e profondo, pronto per essere scandagliato nelle sue pieghe più insondabili e remote.


Se molti altri film, dunque, si fermano alla vendetta in sé senza analizzarne le ricadute morali, emotive e spirituali e la sua fortissima componente di umana problematicità, Park Chan-wook si sforza, nella sua trilogia della vendetta, che questo Lady Vendetta incorona e completa, di battere i meandri più ascosi del concetto di vendetta. Se in Mr. Vendetta la vendetta viene vista come unico viatico possibile di comunicazione e dialogo con il mondo esterno e in Old Boy quella stessa vendetta diventa martellante e primordiale furore, un furore assolutizzante che travolge la realtà tutta e in ogni suo aspetto, nell’ultimo capitolo della trilogia, Park Chan-wook mesce la vendetta alla redenzione: il vendicarsi diventa non solo una semplice resa dei conti ma un lavare le piaghe del proprio spirito con un sangue altrui, usato a mo’ di acqua lustrale e battesimale. L’aspirazione verso cui tende lo spirito di Geum-ja è il “vivere bianco”, il rimanere pura e, a questo fine, la nostra protagonista si prepara a un percorso iniziatico e dantesco: uscita come un angelo dall’Inferno del carcere, attraversa un doloroso Purgatorio mascherata da vergine infernale, tutta votata al suo obiettivo e, dopo l’espiazione finale e collettiva (chi l’ha visto sa a cosa mi riferisco), la sua anima è sgravata dal peccato e dal rimorso, pronta a essere sommersa da un oceano di neve cadente riunita a sua figlia e con la speranza di un’altra vita.


Al centro della vicenda c’è il complicatissimo personaggio di Geum-ja, incarnato con sbalorditiva versatilità e bravura dalla stupenda Lee Yeong-ae. La sua performance è una delle più intense, complesse e sfaccettate interpretazioni di un personaggio femminile che vedo forse da anni. La vediamo come ingenua diciannovenne prima, poi come soave angioletto del carcere, una caramellosa facciata di zucchero, miele e preghiere dietro cui si nascondono ragnesche macchinazioni e furie di vipera invelenita. Uscita dal carcere diventa un’ammaliante vamp tutta vestiti eleganti, chiome pesanti e seriche e uno sguardo, cerchiato dal rosso cupo di un ombretto color sangue, che è quello indolente e crudele di una leonessa satolla eppure non sazia di sangue, lo sguardo di una divinità che è il parto ibridato di spaiate teogonie: misto di Vergine Maria, arcangelo Michele, sanguinaria Tisifone e furiosa Giunone. Costruito intorno a un così complesso e semidivino personaggio come poteva Lady Vendetta fallire il proprio bersaglio?


Ma i pregi del film non finiscono certo qui. Oltre a una sceneggiatura brillante ed eclettica (anche se non esente da certe, fastidiose sfilacciature e da vuoti di pensiero) la cinematografia di Park Chan-wook esalta e sbalordisce con le sue pose sublimi, i suoi sguardi sbiecati e ritagliati come diamanti, i cromatismi accesi e cristallini e, insomma, tutti gli stilemi di un ingegno autoriale che è riuscito a sposare alla perfezione la tradizione orientale e “decorativa” con i tratti più sublimanti del cinema d’autore soprattutto europeo (un paio di inquadrature mi hanno ricordato certi film di Von Trier, altre ancora Wong Kar-wai mentre certe sembravano ritagliate da un film di Almodovar) senza dimenticare certe marcate suggestioni di respiro squisitamente camp che trasformano la pellicola in scintillante trastullo per gli occhi. Per parlare in termini più chiari e meno lusinghieri dirò che, senza dubbio alcuno, il trittico sulla vendetta di Park Chan-wook è un grande classico moderno, una visione senz’altro obbligatoria e necessaria.


Se ti è piaciuto guarda anche... – Grande classico del cinema vendicativo è il giapponese Lady Snowblood (1973) di Toshiya Fujita a cui si ispira il meraviglioso Kill Bill Vol.1 e 2 (rispettivamente 2003 e 2004) di Quentin Tarantino. Ovviamente sono consigliatissimi le altre due istallazioni della trilogia della vendetta di Park Chan-wook, ovvero Mr. Vendetta (2002) e Old Boy (2003). Altri revenge movies moderni e validissimi sono il franco-canadese Martyrs (2008) di Pascal Laugier, il gioiellino british Harry Brown (2009) di Daniel Barber, il grandguignolesco Machete (2010) di Robert Rodriguez, la pietruzza indie Descent (2007) di Talia Lugacy e i più commerciali Giustizia privata (2009) di F. Gary Gray e Io vi troverò (2008) di Pierre Morel.


Scena cult – Svariate. Su tutte la morte del cagnolino, la storia della Strega del carcere e della sua morte, la vendetta di gruppo meticolosamente organizzata da Geum-ja e l’uccisione degli scagnozzi di Mr. Baek a opera di Geum-ja.

Canzone cult – Propriamente nessuna. La colonna sonora di  Choi Seung-hyun è spettacolare: tutta un tripudio di clavicembali e chitarre barocche con motivi presi in prestito a Bach e a Vivaldi. Segnalo, per vezzo amoroso, il meraviglioso Capriccio 24 di Paganini.

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